15. IN MY SHOES - Luca e Cristiano

In My Shoes - © Marta Costantino 2013
"In che senso, quanta forza ho?" trasalì Giannini.
"Venga con me: non abbiamo molto tempo!" rispose Cesare dirigendosi di fretta verso l'ingresso del fienile. Giannini non capiva cosa stesse succedendo: "Ma perché? Chi è che sta arrivando? Siamo in pericolo?"
"Giannini, per Dio: le domande le tenga per quando avremo tempo. Adesso si muova da lì che è esattamente in traiettoria!"
"Qua-le tra-iet-to-ria?" chiese Giannini scandendo ogni sillaba. Cesare sembrava molto agitato e questo si rifrangeva in Giannini: si conoscevano solo da una manciata di ore, ma aveva il sentore che se quell'uomo era così preoccupato, probabilmente aveva una buona ragione per esserlo. Si sentiva come quei pupazzetti incollati al cruscotto a cui ciondola il capo: un peso invisibile, che taluni chiamano panico, ne aveva radicato i piedi alle fondamenta del porticato. Cesare tornò indietro e prese Giannini per un braccio: "Cristo Giannini, si sposti o le faranno male!"

14. IN MY SHOES - Altri mondi

In My Shoes - © Marta Costantino 2018
Cor.
Scarlet.
Due nomi: uno vero, uno fittizio.
Nella loro completezza, sette lettere entrambi: fino a quel momento non ci aveva fatto caso.
Giannini rifletteva su come Cesare e Clelia sembravano non avere ascoltato ciò che Rosy avesse detto uscendo: esattamente una frazione di secondo prima che Astor chiudesse quella porta che si affacciava sulla cronaca spietata di molteplici mondi. Forse non avevano sentito: o forse semplicemente già sapevano.
Non si capacitava di come quei due in fondo non si curassero più di tanto della sua vicenda: probabilmente avere visto l'essenza di così tante esistenze, incastonate da Cesare con tanta cura in grezze montature lignee, aveva ridimensionato il giudizio sul prossimo.

13. IN MY SHOES - Rosy

In My Shoes - © Marta Costantino 2016
"Per Dio, Rosy! La gara a chi grida più forte l'abbiamo già fatta, ricordi?" disse sarcastico Cesare aprendo il portone: "E hai anche perso. Quindi smettila di... ma cosa hai in mano?" le chiese perplesso. "Sei rimasta a piedi?"
"Quelle stronze parleranno oggi! Cazzo se parleranno!" disse Rosy agitandogli sotto al naso delle pinze: sotto al braccio, teneva stretta a sé una batteria della macchina. "Spostati Cesare, non farmi incazzare!" inveì scansandolo a forza con una traboccante presenza scenica. Centoventi chili di donna impacchettati in un cappotto nero striato qua e là di strisce biancastre, si fecero strada per qualche metro in passi decisi e sgraziati: oscillavano come un orcio a cui fosse stato dato un colpo. In testa aveva cordicelle unte di capelli neri impastati a croste di forfora. Occhi piccoli e scuri erano incastonati in una testa che era un tutt'uno con una collana di grasso che avvolgeva ciò che una volta doveva essere stato un collo umano. 
"Rosy!" gridò Cesare: "Le scarpe!"
Rosy si fermò: "E ma che palle 'sta storia!" sbuffò scalzandosi quel che restava di due ballerine slabbrate. "Te le puoi anche tenere! Sono per la tua collezione. Ti piacciono? Te le regalo" disse proseguendo senza voltarsi. "E non chiudere quella cazzo di porta che sta arrivando anche mio figlio!"

12. IN MY SHOES - Clelia

In My Shoes - © Marta Costantino 2017

Cesare stringeva le mani di Clelia tra le sue:  Clelia parlava, e Cesare taceva. Ogni tanto sollevava le spalle, scuoteva la testa oppure annuiva. Visti così, da lontano, senza potere udire cosa stessero dicendo, sembravano due personaggi di un vecchio film in bianco e nero. Composti, eppure incredibilmente densi: la sensazione era che si stessero respirando l'un l'altro attraverso gli sguardi. Sulla giusta distanza, è facile costruire ed immaginare mondi: è quando si è immersi fino al collo in quei dettagli soffocanti che la materia diventa viscosa.

Clelia si appoggiò al braccio di Cesare: tolse le scarpe e le posò accanto a quelle di Giannini. A testa bassa, con il volto nascosto nel cappuccio del mantello, si incamminò lentamente lungo la navata. Più che camminare sembrava fluttuasse: quasi che con quell'incedere non volesse gravare con il peso su una terra che di fardelli ne portava già parecchi.
Quando arrivò ad altezza di Giannini si fermò e si voltò nella sua direzione: si guardarono in silenzio. Clelia tolse i guanti, li infilò in borsa, e andò incontro a quella persona che indossava un completo color timidezza coordinato ad un distillato essenziale di smarrimento.

11. IN MY SHOES - Nuove amicizie

In My Shoes - © Marta Costantino 2015
Giannini si girò di scatto: i piedi incollati al pavimento, nel centro esatto di quel fienile che riportava alla sacralità di una chiesa gotica. Fece ancora quel movimento con le mani, chiedendo a Cesare, attraverso la gestualità, chi stesse bussando.
Cesare sorrise e alzò le spalle.
"Chi è?" bisbigliò Giannini.
Cesare si avvicinò: "Lo scoprirà Giannini: per lei è giunto il momento di ampliare le proprie conoscenze. Ha mai fatto caso a come per molte persone divenga difficile nel corso degli anni fare nuove amicizie? Sudiamo diffidenza: costruiamo mura e ci chiudiamo in mondi sempre più piccoli, sempre più stretti, sempre più soffocanti. Sa qual'è la questione Giannini? La questione è che ciò che viene nascosto prima o poi si sente in pieno diritto di riemergere: soprattutto quando viene seppellito vivo. Perché uccidere qualcuno, o qualcosa, è un crimine. E si ricordi anche che da lì sotto, quel qualcuno, o quel qualcosa, continuerà a grattare con le unghie e con tutta la forza che ha dentro, fino a quando non sarà visto e ascoltato. Credo che lei sappia cosa io intenda."

10. IN MY SHOES - Buio

In My Shoes - © Marta Costantino 2018
Giannini seguiva Cesare lungo la strada che ancheggiava, snodandosi fluida in mezzo alle colline. I fiocchi di neve, che ricordavano scaglie di mandorle glassate, si scioglievano e colavano come zucchero liquido sul parabrezza dove la condensa si confondeva con le note di "Sky Full of Song" di Florence + The Machine.
Conosceva abbastanza bene quella statale: l'aveva percorsa diverse volte. Dopo mezz'ora di ampie curve e concisi rettilinei arrivarono nel punto in cui quel sabato sera aveva parcheggiato la macchina, prima di inoltrarsi nel campo nel tentativo di disfarsi delle due ciarliere. Cesare svoltò a destra, prendendo strade secondarie che da strette, diventarono strettissime e sterrate. Nei minuti successivi

09. IN MY SHOES - Scarlet

In My Shoes - © Marta Costantino 2018

I passi scricchiolavano sulla neve: sembrava di camminare su un tappeto di scaglie di vetro. Giannini guardava in terra, fissando quella strada di cui conosceva ogni centimetro quadrato; Cesare dava un'occhiata allo scenario di asfalto, cemento e insegne retroilluminate: le mani in tasca ed il sacchetto al caldo, tenuto con cura sotto al braccio sinistro.
"Cesare, devo salire in casa. Ho dimenticato il telefono."
"Senza quello non si vive più, eh..."
Giannini annuì: "Dove ha la macchina?"
"Sotto casa sua. Che fa? Prende la sua e mi segue?"
"Sì."
"Meglio: così mi risparmia di tornare qui."

08. IN MY SHOES - Santi maldestri

In My Shoes - © Marta Costantino 2016
Giannini tornò al tavolo: il colore del volto coordinato alle piastrelle del bagno.
"Sta meglio?" chiese Cesare guardando oltre la vetrina.
Giannini rispose ondeggiando il capo, come fanno gli indiani quando annuiscono.
Rimasero seduti in silenzio per una manciata di secondi: potevano ricordare due innamorati che dopo un feroce alterco osservano invisibili brandelli scomposti di cuore e fegato, cercando di capire come ricucire quello strappo che non ha punto di sutura.
"Cesare, digli delle altre." disse la prima voce da sotto al tavolo, rompendo il ghiaccio con un tono dolce.

07. IN MY SHOES - La variabile C

In My Shoes - © Marta Costantino 2018
Fuori dal bar, gli spilli erano diventati scaglie algide che atterravano come piume ghiacciate su uno scenario urbano in metamorfosi. Ma era soltanto l'ennesima morgana. Di cose da cambiare ce ne sarebbero state parecchie, e di certo la neve non avrebbe il fatto miracolo che ognuno in cuor proprio si aspettava: le persone credevano sempre molto ingenuamente che i cambiamenti arrivassero da fuori. Non sapevano, che il mondo non sarebbe mai cambiato: le uniche a potere mutare erano proprio le persone stesse. Perché la parte più difficile dell'esistenza, ma anche quella più naturale, era proprio la trasformazione.

06. IN MY SHOES - Cesare

In My Shoes - © Marta Costantino 2018

Si coprì come poté: prese le chiavi di casa e un ombrello e scese tre piani di scale con la gola che stringeva il cuore fino a strangolarlo. E quello batteva ad una velocità folle, scivolando sul corrimano di legno e rimbalzando su ogni dannato scalino in marmo, tessendo una ragnatela invisibile fatta di paura.
Tre piani.
Erano solo tre cazzo di piani, ma sembravano trecento.
Nell'androne, prima di uscire, si strinse nel piumino e sollevò il cappuccio. Si fermò a guardare quell'uomo che attendeva paziente fuori dal cancello, chiedendosi come avesse fatto a trovare le scarpe. Ebbe un conato di vomito.

05. IN MY SHOES - Fuochi d'artificio

In My Shoes - © Marta Costantino 2015

Passarono due settimane: sommariamente identiche a tutte quelle che le avevano precedute e verosimilmente simili a quelle che sarebbero seguite. La variabile fu l'attenzione che mise nel fare caso che niente di improprio, oltre alle persone che aveva attorno, parlasse. Quella famigerata notte, al rientro, non riuscì a buttare le Puma: nonostante versassero in condizioni pietose le lavò e le appoggiò sul calorifero ad asciugare. Nei giorni successivi, come le vecchie coppie quando litigano,  si scambiarono sguardi ma nessuna parola.

Il ritorno alla normalità non fu immediato: le ferite sulle dita si rimarginarono in una decina di giorni. Il tempo della guarigione coincise con quello della rimozione.

04. IN MY SHOES - Quell'odore

In My Shoes - © Marta Costantino 2018

La notte arriva presto a gennaio. Al termine di giornate in cui il sole sembra fortemente indeciso se sorgere o meno. Quasi che, pigro e indolente, calchi l'orizzonte accarezzandolo senza sollevarsi mai veramente, per poi dileguarsi veloce, inghiottito dalla terra e da un pesante skyline di cemento.

Aveva lasciato le scarpe in camera tutto il giorno: in quel sacchetto gettato velocemente sotto al letto, quasi scottasse. Relegate in quel luogo dove da bambini si nascondono i mostri pronti a fare capolino la notte. Aveva chiuso la porta alle sue spalle, senza nemmeno guardare. La musica doveva coprire qualsiasi possibile sfacciata interferenza, e occultare quel brusio che ricordava un po' la radiazione cosmica di fondo: non lo sentiva chiaramente, ma da qualche parte, in quel piccolo universo che stava collassando come un buco nero, c'era. 

03. IN MY SHOES - Due nodi

Una scarpina di Cenerentola trovata sull'asfalto - In My Shoes racconti, Due nodi
In My Shoes - © Marta Costantino 2018
"Non è accaduto niente ieri sera!" disse con una certa verve, pentendosi quasi immediatamente di avere dato corda a quelle due. Quali due, poi? Non era tutta un'allucinazione? Cioè, stava veramente parlando con le scarpe?
"Se vogliamo essere precisi, ieri sera no. Stanotte sì però!" disse la seconda voce sogghignando.
"Eccome!" aggiunse la prima. "Era tantissimo che non ti divertivi così. Insomma dai, te lo meritavi anche."
"Di cosa cazzo state parlando?" chiese innervosendosi.
"Da dove vuoi che iniziamo? Dalla boccia di gin che ti ha sciolto gambe e inibizioni? O dalla strada sterrata che hai percorso con la tua macchina in mezzo al nulla e alla nebbia alle due di notte?" domandò la seconda voce.
"Faceva un freddo in quel bagagliaio! Potevi almeno metterci nell'abitacolo. Abbiamo pensato ti vergognassi di noi" disse la prima.
"Non era di noi che si vergognava, cara" sottolineò con morbida lentezza la seconda.

02. IN MY SHOES - Gli oggetti parlano

Quel che resta di una scarpa: la suola - In My Shoes racconti, Gli oggetti parlano
In My Shoes - © Marta Costantino 2018
Scosse la testa.
"No, non ho capito: so solo che mi sembra di impazzire" disse.
"Scusa, eh: oltre a te, chi c'è in questa camera?" chiese la voce.
Non sapeva se rispondere perché non sapeva a chi stesse rispondendo.
"Allora?" sollecitò l'altra.
"In questa camera ci sono solo io" disse lentamente, cercando nella lentezza della voce un appiglio alla ragione.
"Quanto narcisismo" rispose ironicamente la voce. "Lo sai cara, che la loro visione è ristretta a quei piccoli mondi che costruiscono con le loro mani e di cui poi diventano prigionieri. Non vedono gli altri umani, figurati se sappiano sporgersi oltre quelle mura che loro stessi erigono. E poi quei cervelli: in fondo sono sopravvalutati, come tutta la loro specie. Lascia stare: diglielo chiaramente perché tanto non ci arriva!" aggiunse l'altra risoluta.
Si grattò la testa, fissando il pavimento: "Dirmi cosa?"

01. IN MY SHOES - Prologo

Cesta di scarpe in vendita ad un mercatino sul lago di Alserio - In My Shoes racconti, Prologo
In My Shoes - © Marta Costantino 2018

Quando finalmente riuscì ad aprire quegli occhi che sembravano spalmati di cianoacrilato, la sveglia stava suonando da un po': una luce algida attraversava di prepotenza la finestra, spalmandosi sulle lenzuola bianche. Fece un respiro profondo cercando di zittire con la mano quel suono così dannatamente molesto: partì un colpo di tosse. "Certe cose si pagano" pensò. Rimase immobile nel silenzio del sabato mattina, valutando se alzarsi o riaddormentarsi, con gli occhi socchiusi ed una pietra pomice in gola che si faceva sentire appena faceva un respiro un po' più profondo.
Avrebbe potuto essere un sabato mattina come tutti gli altri: ma andò diversamente. 

Una risata si fece strada dai piedi del letto diretta come una Frecciarossa ai suoi timpani.
Spalancò gli occhi che iniziarono a ispezionare tutta la camera cercando di capire chi potesse essere. Il cuore era balzato in gola: per la paura avrebbe anche potuto sputarlo. Non era una sola risata: erano due. Sembravano più delle risatine, del genere che accompagnano i pettegolezzi: quelle che fanno da colonna sonora a storie che si raccontano solo alle spalle.