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| In My Shoes - © Marta Costantino 2018 |
Si coprì come poté: prese le chiavi di casa e un ombrello e scese tre piani di scale con la gola che stringeva il cuore fino a strangolarlo. E quello batteva ad una velocità folle, scivolando sul corrimano di legno e rimbalzando su ogni dannato scalino in marmo, tessendo una ragnatela invisibile fatta di paura.
Tre piani.
Erano solo tre cazzo di piani, ma sembravano trecento.
Nell'androne, prima di uscire, si strinse nel piumino e sollevò il cappuccio. Si fermò a guardare quell'uomo che attendeva paziente fuori dal cancello, chiedendosi come avesse fatto a trovare le scarpe. Ebbe un conato di vomito.
Giannini esitò: non era di certo il genere di espressione che si aspettasse. Non che si aspettasse niente di tutto questo, chiaro. Ma c'era qualcosa di denso, morbido e disarmante in quella esternazione: qualcosa che riuscì a rallentare il battito cardiaco e allentare la morsa alla gola, stemperando il panico.
Qualcosa in quell'uomo, l'attraeva.
Arrivò al cancello con un aplomb finto come le unghie di una vecchia mignotta.
"Buongiorno Giannini" disse l'uomo.
"Buongiorno a lei" disse con le mani in tasca, schiarendosi la voce. "Lei è?"
"Cesare. Mi chiamo Cesare."
"Io mi chiamo..." fece per presentarsi, ma Cesare intervenne: "Lei per me è Giannini. Per ora va bene così. Può chiamarmi per nome ma ci daremo del lei: il linguaggio è una forma di rispetto. Ha la capacità di costruire, o distruggere, i mondi che viviamo. Lei questo lo sa, vero Giannini?"
Annuì in silenzio. Aveva mille domande ma non sapeva né come né da dove partire.
Una voce fece capolino da dietro l'uomo: "Ciao né!"
Cesare e Giannini si guardarono.
"Credo sappia anche lei quanto parlino" disse l'uomo "e alcune sono veramente irriverenti."
Avrebbe voluto dire qualcosa ma non ci riuscì.
"Giannini, ha intenzione di rimanere a lungo dietro quel cancello o possiamo spostarci e andare a parlare da qualche altra parte? A giudicare dalla sua espressione credo che abbia delle domande da farmi."
"Mi scusi, è che proprio faccio fatica. Cioè, tutta questa storia. Le scarpe che..." esitò, guardandosi attorno. "...parlano. Lei che arriva a casa mia. Cioè, capisce che tutto questo è veramente troppo?"
Cesare annuì: "Non sono di queste parti. Ma ho visto che sulla provinciale c'è un bar aperto: andiamo lì?"
"Ma lei ha sentito quello che le ho appena detto?" chiese con voce piccata.
"Sì Giannini, ho sentito perché ho la capacità di ascoltare. Se purtroppo o fortunatamente non l'ho ancora compreso. Capisco la sua posizione, ma come ogni cosa è abbastanza relativa. Ora, può scegliere: rimanere lì come una graziosa statuina da giardino o seguirmi" disse incamminandosi.
Poi si fermò, si girò e disse: "Senta, conosco tutta la storia: chi tra noi due dovrebbe avere più paura secondo il suo punto di vista?"
Giannini aprì il cancelletto e lo seguì.

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