02. IN MY SHOES - Gli oggetti parlano

Quel che resta di una scarpa: la suola - In My Shoes racconti, Gli oggetti parlano
In My Shoes - © Marta Costantino 2018
Scosse la testa.
"No, non ho capito: so solo che mi sembra di impazzire" disse.
"Scusa, eh: oltre a te, chi c'è in questa camera?" chiese la voce.
Non sapeva se rispondere perché non sapeva a chi stesse rispondendo.
"Allora?" sollecitò l'altra.
"In questa camera ci sono solo io" disse lentamente, cercando nella lentezza della voce un appiglio alla ragione.
"Quanto narcisismo" rispose ironicamente la voce. "Lo sai cara, che la loro visione è ristretta a quei piccoli mondi che costruiscono con le loro mani e di cui poi diventano prigionieri. Non vedono gli altri umani, figurati se sappiano sporgersi oltre quelle mura che loro stessi erigono. E poi quei cervelli: in fondo sono sopravvalutati, come tutta la loro specie. Lascia stare: diglielo chiaramente perché tanto non ci arriva!" aggiunse l'altra risoluta.
Si grattò la testa, fissando il pavimento: "Dirmi cosa?"

"Eh, niente, non ci arriva... Non ci guarda nemmeno: quanta maleducazione" sospirò la prima.
"Te l'ho detto! O glielo dici tu che sei più morbida, o glielo dico io senza girarci troppo attorno!" disse l'altra.
Spostò lo sguardo sulle scarpe.
"Evviva! Ci ha visto!" disse la seconda voce.
Spalancò gli occhi: si mise a carponi e molto lentamente si avvicinò con le orecchie alle scarpe. Cinque secondi di silenzio: giusto il tempo di pensare che tutto potesse essere solo un brutto sogno dal quale risvegliarsi a breve.
"Esatto!" strillò la prima voce entusiasta.
Fece un balzo fino al calorifero: un collante invisibile teneva il suo sguardo inchiodato alle scarpe che aveva indossato la sera prima e che aveva tolto a fatica prima di andare a dormire. "Macosacazzo..." disse senza spazi.
"Spiegaglielo tu che sei più diplomatica, prima che perda il senno" disse la seconda voce con sufficienza. "Okay!" rispose la prima schiarendosi la voce: "Allora. E' semplice: le cose, come le chiamate brutalmente voi esseri umani, hanno una vita. Esattamente come la vostra: anzi, entrano nella vostra vita e ne assorbono una parte. In un certo senso siete voi stessi ad infonderci vita. Noi oggetti, che mi sembra più dignitoso rispetto a cose, siamo come delle spugne ed assorbiamo qualunque cosa voi viviate: siamo custodi di storie, di vicissitudini, di quella umanità che a voi, per assurdo, sfugge. Gli dico anche dei collegamenti?" chiese la prima voce alla seconda.
"Sei sempre troppo ottimista e li sopravvaluti. In ogni caso: provaci." rispose la seconda.
La persona ascoltava con estrema attenzione, senza battere ciglio, con la bocca serrata e brevissimi respiri superficiali. Ricordava una statua di cera di Madame Tussauds: senza sorriso però.
"Siamo dei collegamenti tra tutti voi umani: siamo in grado di tessere relazioni tra persone poste anche ai capi opposti del mondo. A noi non interessa il vostro status, la religione, se siate uomini o donne, giovani o vecchi. Passiamo da una vita all'altra, portando con noi frangenti di ciascuno di voi. Prendi noi, per esempio: siamo nate dall'idea di un designer, delle donne ci hanno assemblato in Cina e abbiamo attraversato mezzo mondo per arrivare nel negozio dove ci hai comperate. Abbiamo conosciuto i commessi che ci hanno messo ordinatamente su degli scaffali, poi tu ci hai scelte, ed un giorno o ci butterai senza neanche riconoscere la fetta di vita che abbiamo trascorso con te, oppure ci metterai in uno di quei bidoni gialli e continueremo il nostro viaggio nel terzo mondo. Non che il vostro sia meglio eh, capiamoci. Comunque, se lo vuoi sapere, c'è un aspetto tragico ed uno ridicolo."
Silenzio.
"Non sembra molto loquace. Oppure la storia non interessa" sospirò la prima voce.
"No. Te l'ho detto prima: si sta cagando in mano. Vai pure avanti" rispose la seconda.
"Okay. L'aspetto tragico è il vostro consumismo sfrenato che si abbatte feroce sui vostri simili e sulla Terra, e che prima o poi vi si ritorcerà contro. Perché non avete ancora capito che la Terra ha la capacità di sbarazzarsi di chiunque possa minare l'equilibrio perfetto della natura. L'aspetto ridicolo, e che a noi fa veramente tanto tanto tanto ridere, è che impiegate così tanta energia nel costruire una immagine fittizia, elitaria e di esclusività da incollare ai vostri prodotti. E poi? E poi succede che, una maglietta che in un negozio viene venduta a trecento euro, finisce il giro della sua esistenza incollata alla pelle sudata e macchiata di sangue di trafficanti di esseri umani che imbracciano fucili."
"La mia compagna è diplomatica, ma in altre parole voleva dire che siete profondamente stupidi e ridicoli" specificò la seconda.
Il tempo, in quel freddo mattino di gennaio, si era congelato. La schiena ancora appoggiata al calorifero bollente, le gambe distese sul pavimento come una marionetta scomposta ed in bocca il sapore spesso e amaro del panico: quel sapore nauseante che sale dai polmoni saturando il corpo come un gas denso. Non poteva credere che le scarpe stessero parlando. O non voleva. Forse era un incubo che prima o poi sarebbe finito.
La seconda voce disse: "Bene. Quindi la morale è che gli oggetti parlano e raccontano storie. Adesso che ci siamo conosciuti, ci facciamo una chiacchiera a proposito di ieri sera?"

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